Contro l'ideologia del merito by Mauro Boarelli
autore:Mauro Boarelli
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggi Tascabili Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2019-06-12T16:00:00+00:00
Solitudini
I dispositivi messi in campo dall’ideologia del merito – il linguaggio a una dimensione, la retorica della trasparenza, la burocratizzazione e il dominio dei tecnici – hanno modellato la cultura politica e civile a partire dall’ultimo trentennio del Ventesimo secolo. Ma non avrebbero potuto essere incisivi se in quel tempo non fossero intervenuti profondi mutamenti sociali che hanno creato un terreno favorevole alla loro espansione. Due tendenze in particolare – tra loro strettamente connesse – hanno aperto la strada alla colonizzazione dello spazio pubblico: l’affermazione dell’individualismo e la rimozione del conflitto.
Il processo di individualizzazione è stato stimolato dalla «cultura terapeutica» studiata a fondo da Frank Furedi, che ne ha evidenziato le implicazioni sociali e politiche. L’incapacità di percepire la connessione tra le scelte personali e l’influenza di forze più ampie – carattere peculiare della mutazione in atto – determina uno slittamento nella percezione dei problemi sociali, trasformati in problemi individuali e di natura emotiva. Le figure più adatte a prenderli in carico sono i terapeuti, cioè tutte le figure professionali che, a vario titolo, si occupano di relazioni, emozioni, aiuto. È una cultura istituzionalizzata, perché sono le istituzioni a diffonderla, ad accreditarne l’utilità e la necessità.
La cultura terapeutica propone il culto della soggettività e contemporaneamente la costringe entro confini angusti. L’immagine di sé coltivata da questo approccio è un’immagine vulnerabile, passiva, perennemente a rischio. Il raggiungimento della consapevolezza emotiva, che rappresenta l’obiettivo della cultura terapeutica, è altra cosa rispetto alla consapevolezza sociale. A differenza di quest’ultima, non stimola critica, protesta, ribellione, ma conformismo. La consapevolezza di sé non si traduce in azione, rimane fine a se stessa e si risolve nell’accettazione dello stato di cose esistenti:
[...] oggi viene proiettata l’immagine di un sé passivo che non corre rischi, ma piuttosto è a rischio. In questo scenario il ruolo dell’individuo come soggetto di sperimentazione e di trasformazione è semplicemente estinto.
L’immagine di un sé passivo ha la sua massima espressione nel mito dell’autostima, i suoi sostenitori continuano a rammentare il valore di un’accettazione incondizionata di sé, trasmettendo una visione statica e conservatrice del sé che respinge i precedenti, più ambiziosi appelli a «cambiare se stessi», a «migliorarsi», a «trascendere il sé». L’invito all’autoaccettazione è un modo indiretto di evitare il cambiamento.
La cultura terapeutica è avversa alle relazioni informali e contribuisce a destrutturare le reti sociali che le sostengono. Il senso di responsabilità nei confronti degli altri, il senso di appartenenza a una comunità, il senso di lealtà vengono individuati come sintomi di dipendenza dalla relazione, e come tali curati. Alla «dipendenza» derivante dai legami orizzontali viene sostituita la dipendenza verticale dalle istituzioni e dai suoi «funzionari».
La creazione di forme di dipendenza è un concetto centrale anche nel lavoro di Christopher Lasch, secondo cui
L’atrofia delle antiche tradizioni del self-help ha espropriato il sapere quotidiano in un settore dopo l’altro, e ha determinato la dipendenza dell’individuo dallo Stato, dall’azienda e dalle altre organizzazioni burocratiche.
La moltiplicazione delle forme di dipendenza burocratica ostacola il passaggio all’età adulta e sostiene un processo di infantilizzazione che rappresenta un tratto dominante della società contemporanea.
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